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Scrivere è un lavoro

  • Dafne
  • 22 lug 2016
  • Tempo di lettura: 7 min

Oggi vorrei spiegare una cosa apparentemente ovvia, ma che tale non è per tutti, vista l’esperienza che sto per raccontare. La questione si riassume tutta nel titolo: scrivere è un lavoro. Difficile da mettere in piedi come attività, ma onesto e redditizio come tanti altri. Io scrivo un libro e, potenzialmente, lo posso vendere n volte, mentre ne sto scrivendo altri che hanno la stessa opportunità nel loro futuro. Questa è la base del mio guadagno. Poi se si è una persona interessata a ambiti diversi come me, acquistando credibilità i guadagni possono arrivare anche da altre attività collaterali, come seminari a tema, mediazione per chi vende cose che i tuoi lettori desiderano, eccetera.

In Italia spesso si dice che ci sono più scrittori che lettori e che la scrittura non è presa sul serio, come la musica, il teatro e via discorrendo. Ci diciamo ogni tanto queste cose, non sia mai che ci passassero di testa e potessimo finalmente dimenticarle, iniziando a immaginare la realtà in modo diverso.

Scrivere è un lavoro molto osteggiato, quindi chi lo intraprende ha dovuto passare un periodo traumatico, durante il quale ha accettato e poi dovuto far accettare agli altri la sua scelta. Non è quindi come l’ingegnere, che è incanalato dai genitori sin dalle scuole superiori.

Probabilmente voglio fare questo lavoro dalle elementari, ma ho iniziato a pensarci seriamente a 33 anni. Nel frattempo non ho fatto tante esperienze comunque utili, ho perso tempo. Essere donna crea uno scoglio ulteriore, perché l’uomo da giovane può fare anche esperimenti arditi, più o meno riusciti, per cercare la sua strada e amici e parenti avranno sempre un occhio di riguardo per lui. Tu, invece, ti devi vergognare in qualche modo della tua ricerca, che difatti rimane a lungo repressa. Di questi argomenti complessi parlo nel mio terzo libro ora in fase di lavorazione, Hair cakes and rats- la storia di Lou Damiano, ed è inutile dilungarsi oltre qui.

Siamo arrivati al tentativo vero, che prevede più o meno la stessa gavetta per tutti: scrivi gratis riguardo cose che ti appassionano, così ti alleni mentre qualcun altro guadagna grazie al tuo lavoro; poi, se vedi che hai qualcosa da dire e un tuo stile, per quanto su di esso dovrai lavorare per sempre, ti butti e scrivi un libro. Alcuni partono dal blog, ma io ci ho provato e ho capito di non essere quella luce per falene che alcuni riescono a diventare: chi mi legge mi apprezza, ma di facce nuove ne attiro poche. La classica storia del blog seguito da migliaia di utenti che diventa un libro non è qualcosa che mi riguarda. Inoltre con il tempo ho iniziato a essere molto critica rispetto ai blog e l’uso dei social network: creano stress inutile in chi li gestisce, che è sempre costretto a inventare cose nuove per attirare click, producendo al 90% spazzatura. Non importa che l’argomento sia interessante e ben trattato, è la natura di questi mezzi a decretare la natura sciatta dei contenuti. Hai troppo poco tempo per lavorarci su. Se per un libro vale la regola che il materiale deve depositarsi per qualche mese prima che tu possa vederne gli errori, con gli articoli è lo stesso. A causa dell’immediatezza del mezzo non si fa decantare il materiale, così spesso quello che appare online è composto da sfoghi e prime impressioni mal assemblate.

Ora uso il blog e i social network perché sono all’inizio del mio percorso e tutto serve, ma appena avrò modo di scegliere mi muoverò soprattutto con libri e gli incontri dal vivo. Sono arrivata a tale conclusione perché il libro è meditato, e la parola scritta deve sempre esserlo perché per sua natura risulta autorevole, come quello che viene detto in TV. È un fatto di forma mentis collettiva: è più difficile che mettiamo totalmente in discussione un libro, una parte del nostro cervello lo prenderà facilmente per buono. L’incontro dal vivo è positivo perché prevede quell’immediatezza che i social network cercano di offrire senza riuscirci veramente. Non importa che quello che ci diciamo a voce sia uno sfogo di pancia, è lo scambio il valore aggiunto dell’incontro. Sul blog lo scambio non c’è, per quanto ci sia la possibilità di commentare, quindi è uno strumento zoppo per definizione.

Questo è il percorso che deve fare una scrittrice.

Cosa non funziona? Tutto. Non quel tutto che alcuni continuano ad additare.

È falso quando si dice che la gente non compra libri. Io vendo il mio libro a 22 euro e la gente lo compra. E io per loro non sono nessuno.

È falso che i piccoli editori possono fare poco perché le grandi monomarche dell’editoria si sono mangiate tutti gli spazi. Se il piccolo editore lavorasse per fare soldi, come in tutti i settori detti lavorativi, invece di lasciare il proprio ego a briglia sciolta, farebbe affari con i suoi scrittori sconosciuti ma speciali. Naturalmente dovrebbe anche fare una buona selezione a monte, cosa che non sempre accade, dovrebbe iniziare a occuparsi seriamente di promozione, che oggi lascia totalmente sulle spalle dello scrittore, e in generale dovrebbe prendere il suo lavoro per tale.

È falso che non ci sono gli spazi per promuovere gli scrittori sconosciuti, inediti o esordienti che siano. È difficile trovare lo spazio giusto, certo. Per il mio caso, ad esempio, i luoghi dedicati agli scrittori non funzionano. Nei circoli di lettura si dà spazio ai romanzi, in certe associazioni culturali è meglio proporsi con poesie. Anche le tanto osannate librerie indipendenti per me non funzionano perché non ho un editore marchigiano e loro solitamente cercano di dare spazio agli editori locali quando si tratta di scrittori sconosciuti. Per fortuna il mio primo libro parla di tante cose, che possono adattarsi a situazioni differenti. Dov’è allora il problema? Il problema è che queste vetrine attirano poche persone. Perché sono sconosciuta? No, ecco un altro malinteso. Perché ci sono falle continue che io da sola, almeno per ora, non riesco ad arginare. Permettetemi di spiegarmi meglio: anche quando devo fare una presentazione in un locale sperduto tra i monti, calcolo il potenziale pubblico. Se so che quel locale mi può portare 10, 20 persone, per me va bene.

Il problema che ho riscontrato nelle presentazioni fatte sin’ora è che la gente è inaffidabile. Questo lo sapevo anche prima, difatti sono una persona previdente, ma non basta. In futuro dovrò sempre più contare sulle mie sole forze. Questo lo sapevo anche prima, solo che essendo una scrittrice sconosciuta ho fatto questo ragionamento: “Puoi prenotare lo spazio da Feltrinelli e passare due ore d’imbarazzo da sola mentre aspetti chi non verrà mai, oppure puoi cercare ambiti che hanno già un loro bacino d’utenti, a cui potrai rivolgerti”.

Quindi ho cercato luoghi anche con poco pubblico, ma su cui sapevo di poter contare. E qui è cascato l’asino, e si è fatto molto male: durante la prima presentazione, l’unica ospite dei tre presenti che era del luogo, lavorava nel quartiere dove facevo la presentazione e aveva un buon seguito di followers, quando ci siamo seduti per iniziare la presentazione mi ha detto che doveva andare via prima perché aveva un evento nel suo negozio, a pochi metri da dove eravamo noi. Quindi tutto il potenziale seguito che avrebbe potuto far affluire alla mia presentazione la stava aspettando in un altro locale.

Nella seconda presentazione ho perso una vendita di cinque copie a causa dei ritardi dell’editore e della sua tipografia di fiducia.

Terzo round. Due giorni prima dell’evento vengo informata che nel paese della frazione in cui farò la presentazione ci sarà una sagra proprio la stessa sera. Dov’è il problema? Che chi mi ospita non ha contatti con la Pro Loco, l’organizzatrice dell’evento, mentre la stessa è molto influente, come accade in tutti i piccoli paesi. Così le persone invitate alla mia presentazione, quelle che sarebbero sicuramente venute perché avevo portato gli ospiti da loro richiesti, essendo coinvolte nell’altro evento hanno disertato la presentazione, la quale non ha avuto neanche la chance di apparire sul calendario dell’unica manifestazione rilevante del paese perché nessuno ha parlato con nessuno. Un consiglio per chi gestisce un’attività ricettiva in provincia: non importa quanto grezzi siano per voi Pro Loco, assessori e compagnia bella. Se lavorate nel turismo dovete entrare in contatto con questa gente, altrimenti sarete tagliati fuori.

In conclusione ho portato gli ospiti che mi era stato chiesto di portare, in cambio non ho trovato nulla. Inoltre sono venuti i miei parenti, che assolutamente digiuni di presentazioni di libri, hanno cantato il requiem alla mia carriera. Io, che di presentazioni, seminari e quant’altro ne ho mangiati a chili negli ultimi mesi, posso assicurarvi che nella acculturalissima Macerata docenti universitari e scrittori stranieri hanno fatto presentazioni dove i miei dieci o venti ospiti sarebbero stati un buon risultato. Chiusa parentesi.

Faccio l’ultima presentazione pre-estiva, in un festival a tema: mi viene offerto come ospite il sindaco, che era perfetto perché compariva in alcune pagine del mio libro. I giorni prima dell’evento scopro che il sindaco è l’ospite jolly di tutto il festival, cosa che non mi era stata detta quando avevo chiesto dettagli. Sarebbe apparso come il prete a Pasqua: avrebbe offerto due parole e una benedizione in tutte le sedi del festival. Inoltre alla stessa ora della mia presentazione, c’erano altri eventi tra cui un’altra presentazione di un libro, scritto da professionisti del territorio, noti e quindi più attrattivi di me per gli abitanti del luogo, con il già citato sindaco come ospite. Alla fine, per aspettare che il sindaco si liberasse, abbiamo fatto slittare la mia presentazione di un’ora e mezzo.

Faccio notare che le metà delle notizie apparse online sul festival sono frutto dell’opera della sottoscritta, che finalmente ha imparato ad usare le testate locali per promuoversi. Quindi di nuovo, io ho dato quello che potevo offrire, ho messo in conto di ricevere 10, o 5 o anche 2, e alla fine ho ricevuto 0 per il disinteresse altrui.

Vista questa esperienza, ci tengo a chiarire definitivamente una cosa: le presentazioni sono lavoro per me. Se mi faccio due ore di macchina perché prevedo di vendere 3 copie, va bene. Ma non organizzo presentazioni perché non so come passare il week end. Il tutto deve rientrare in uno schema di spesa-guadagno che abbia un totale con il segno positivo, altrimenti io ho perso tempo e soldi.

Lo faccio per lavoro. Lo faccio per guadagnare. Potrei farlo bene, se solo dall’altra parte s’iniziasse a capire che si tratta di lavoro.

Come lavoro è mettere in vendita un ebook, per cui mi sto scervellando sul come proteggere. Non bisogna essere invasi, né inibire il lettore con un messaggio troppo repressivo. Ma non ci sarebbe proprio da spiegare che 10 euro per quel libro sono dovute, non opzionali, e che se il lettore condivide quel prodotto con altri o, peggio, in rete, annulla il mio lavoro per anni. Quanti 10 euro ci vogliono al consumatore di libri per fare il suo stipendio, tasse comprese, che se egli è un lavoratore dipendente sono più basse in percentuale di quelle che andrei a pagare io appena uscissi dalla soglia di povertà delineata dalla legge? Ecco, tanti sono gli ebook che devo vendere per fare una, e ripeto una, mesata. E io vivo tutti i mesi.

Quindi, ricapitolando, scrivere è un lavoro e ci si può anche guadagnare bene, se gli altri smettessero di fare gli stolti sulla pelle di chi prova a fare qualcosa di valore per sé e gli altri.

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