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Per imparare ci vuole pazienza

  • Immagine del redattore: Red in Italy
    Red in Italy
  • 12 lug 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Detta così sembra una frase vuota. Cerchiamo di dargli corpo.

Vi faccio un esempio legato alla mia esperienza: io sono diventata un’appassionata di cinema nei primi anni ’80, precisamente prima del 1985, anno in cui mio nonno paterno morì. Fu lui a portarmi per la prima volta al cinema, dove vidi Cenerentola, e farmi scoprire l’esperienza più vicina al viaggio astrale che l’uomo possa provare in vita sua, cioè il cinema. Lo obbligai a passare il pomeriggio nella sala buia, visto che all’epoca una volta pagato il biglietto potevi vedere tutti gli spettacoli che volevi. Non m’interessava diventare una principessa, non era quello il punto. Era il suono che veniva dal buio e ti avvolgeva, le immagini in cui potevi entrare, in un’esperienza simile al sogno. Fu quello a sconvolgermi.

Non sono una cinefila, né una collezionista, ma ho visto tanti film da quel giorno in poi. La commedia italiana, gli horror e i thriller sono i miei generi preferiti, ma se un film è bello il genere è secondario.

Pochi giorni fa ho scoperto su Youtube le recensioni di Federico Frusciante, un noleggiatore di film con una vasta conoscenza della materia. Lui mi ha ricordato cosa vuol dire amare il cinema: vuol dire prendersi il tempo di vedere un film, dargli la chance di presentarsi, osservare tanti aspetti del prodotto, non solo il genere che incontra i nostri gusti o il taglio moderno delle riprese.

Mi ero scordata tutto questo, finendo ormai per guardare solo i film che ero sicura mettessero in scena una trama avvincente per i miei gusti. Mea culpa, in questi giorni sto recuperando.

La cosa buffa è che a quattordici o sedici anni non ero così. Mi prendevo il tempo di guardare film anche difficili per le mie conoscenze di allora, come 2001 - Odissea Nello Spazio, che non ho capito e che ancora non ho il coraggio di riguardare, tanto fu pesante per me quella visione. Con la mia migliora amica e il fratello più grande ci chiudevamo nella cucina paterna a guardare Fragole e Sangue o Fuga di Mezzanotte, film che ho capito solo anni dopo. Alle spalle avevo una buona base, questo è vero, visto che a casa mia non c’è stata mai censura e i film d’autore si guardavano all’ora di cena.

È anche vero che in generale ero una ragazzina con una pazienza molto allenata, che trovava naturale stare seduta per 3 ore a vedere film come Addio Mia Concubina, uno dei miei preferiti all’epoca in cui uscì. In famiglia si guardavano molti programmi d’attualità in TV, affatto addomesticati ai gusti popolari come quelli d’oggi, e passavamo il tempo libero in musei e borghi deserti dell’entroterra. Sono figlia unica, quindi ho imparato presto a gestire la solitudine e la convivenza con gli adulti.

Eppure, nonostante questo, ero più capace di concentrarmi a sedici anni che oggi a 36, e ho capito che l’unica vera ragione di questa perdita d’attenzione è internet. Grazie a internet e i media classici, che hanno ricalcato il suo modello per esigenze di sopravvivenza, la mia capacità di concentrazione è scemata.

Mi vanto di saper leggere “con gli occhi”, che vuol dire estrarre l’essenziale da un documento grazie a una scorsa veloce. Però questa mia capacità di scorgere in poco un’intera pagina è inutile se nella lettura complessiva perdo quel “non” che cambia completamente il significato del discorso.

La colpa della mia poca attenzione non è quindi del mezzo, visto che quello che faccio su internet lo faccio anche con un pezzo di carta. È il modello frenetico di comunicazione, il leggere tre cose contemporaneamente, che è stato sdoganato con internet a essere sbagliato. Un metodo che eravamo liberi di rifiutare, ma che in molti abbiamo abbracciato.

Cosa c’entra questo con la cultura italiana? La cultura di un Paese, che è la summa delle esperienze fatte in quel territorio nei secoli, ha bisogno di tutta la nostra attenzione per comunicarci cose di valore. Come accade per il cinema, la musica, la letteratura e così via.

Più mi riconnetto con la mia cultura, che è buona come quella di ogni Paese − ci tengo a ribadirlo − più riscopro quella capacità d’ascoltare che avevo 20 anni fa. Capisco che è questa l’unica strada per mettere nella mia borsa esperienze utili, non ci sono scorciatoie.

Per conoscere il cinema ci vogliono ore e ore di visione, per conoscere la musica ore e ore di ascolto, più anni di pratica se si vuole anche esercitarla. Per imparare a disegnare bisogna passare metà della vita con una matita in mano. Per conoscere l’Italia bisogna darle il tempo di raccontarsi. Ci sono i libri, come il mio, che rappresentano una porta d’accesso facilitato. Ma essi sono solo spunti per una ricerca che per essere di valore deve essere condotta di persona. Io mi sono rimessa sulla giusta via, partendo dal coltivare la mia pazienza, per fare esperienze di valore; vi auguro tanta pazienza per fare al meglio le vostre. Buona scoperta a tutti!

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    Dafne Perticarini scrittrice cf PRTDFN80L44H211I © 2023 by Samanta Jonse. Proudly created with Wix.com

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