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W l’editore, ʍ l’editore, 1°parte

  • Immagine del redattore: Red in Italy
    Red in Italy
  • 5 ott 2016
  • Tempo di lettura: 5 min

(articolo in due parti scritto il 27 luglio 2016, con il finale aggiornato alla data di pubblicazione del 5 ottobre)

Sto per pubblicare il mio secondo libro, che è il seguito del primo. Lo sto facendo con esasperata lentezza, come se aspettassi che accadesse qualcosa in grado di fermarmi. Lo pubblicherò tramite StreeLib, una piattaforma per l’auto-pubblicazione e s’intitolerà Red in Italy 2- alla scoperta delle Italie. Altrove spiegherò di cosa tratta, oggi parliamo delle scelte importanti che deve compiere una scrittrice emergente.

Non è un passo indietro rispetto al primo libro pubblicato da un editore in carne e ossa, semmai un mezzo passo avanti. È poco, ma meglio che stare ferma mentre aspetto che valutino il mio terzo libro (se qualcuno vorrà rispondere dopo le ferie, sarebbe favoloso) e gli agenti americani dicano la loro sul primo.

Per chi osserva da fuori la mia attività, sembra che sia tutto fermo.

Avevo annunciato un’edizione in lingua inglese di Red in Italy, che sembrava un’ottima partenza per una scrittrice esordiente e prometteva passi avanti ulteriori.

La traduzione è arrivata, con circa otto mesi di ritardo, e io sto facendo quello che è più giusto, non più logico: la sto inviando a chi conosce e lavora ogni giorno nel mercato in cui vorrei lavorare. Sarebbe stato facile farla pubblicare appena sfornata dal traduttore, con tutte le discrepanze e i refusi che avrebbero fatto arretrare ogni lettore inglese. Avrei avuto il mio pezzetto di gloria: il titolo in inglese su Amazon, le due recensioni che i miei contatti americani avevano promesso di fare a pubblicazione avvenuta. Bello per il mio ego, ma poi?

La domanda da porsi a monte è: cosa vuoi che sia la scrittura per te? Passione, hobby, nutrimento per la tua vanità o lavoro? Io ho risposto lavoro, così porto pazienza e faccio la strada più lunga.

Come farò a convincere un agente americano o un piccolo editore che il mio libro è davvero quello che fa per loro? Davvero non lo so, in questi casi vado avanti con la cieca fede. Ne ho tanta in tasca, pulita da ogni traccia di dottrina. È fede allo stato puro, la convinzione di potercela fare, io e i miei progetti in un prossimo futuro. Una fiducia nelle doti umane degna di un satanista, anche se non è il mio caso.

Dove eravamo? All’auto-pubblicazione.

Non mi è mai piaciuta; come idea in sé è valida, ma, come molti altri strumenti simili, mostra un divario preoccupante tra teoria e pratica. Nella pratica l’auto-pubblicazione è l’oppio dei falliti. E io non voglio fare parte di loro.

Però devo confrontare con questa un’altra dura realtà: molti piccoli editori non sanno cosa fanno, non hanno voglia di fare ciò che dovrebbero, non hanno una mente imprenditoriale, né la giusta preparazione. Molti, non solo quelli che ho incontrato io.

Il primo editore che mi aveva risposto positivamente per Red in Italy era forse il più lucido, lo si capiva già dalle poche righe della sua risposta, che io usai come potei per raddrizzare l’opera. Però pubblicava solo ebook. Certo, ci avrebbe messo vero impegno per promuoverlo, ma niente traduzione in inglese, per il cartaceo se ne poteva parlare in caso di successo dell’opera.

Io allora ero totalmente digiuna di mondo editoriale, ma già capivo quello che poi imparai con l’esperienza: l’ebook in Italia è un gioco per smanettoni e per ragazzi con la passione per i libri, che per lo più scaricano illegalmente le opere che leggono sui loro dispositivi. Il mio target – 35/55, meglio se donne – non comperano gli ebook e io lo so perché soon una di loro. Leggo libri in pdf, di quelli ormai gratuiti perché l’autore è morto da tempo, ma non lo farei se avessi sottomano la loro versione cartacea. Non si tratta di stupido romanticismo, ma di sale in zucca: passo ore davanti al PC, amo i film, sono la mia prima passione, e anche quelli passano su uno schermo. Non voglio leggere libri tramite uno schermo perché ci passo già troppo tempo davanti.

Ecco perché dovetti scartare il più saggio degli editori che pensarono seriamente di lavorare con me.

Degli altri non parlo, diventerebbe antipatico.

Ho fatto la prova, altrimenti non avrei potuto dare un giudizio, e sono giunta alla conclusione che l’editore è fondamentale per uno scrittore, come un architetto ben inserito è indispensabile per un artigiano che vuole fare qualcosa di più che sopravvivere. Però qui e ora non ci sono le persone giuste. Io non le ho trovate, sicuramente è colpa della mia opera, che non è stata in grado di farmi entrare in contatto con loro.

Sta di fatto che pur avendo ricevuto risposta affermativa dal mio attuale editore per la pubblicazione del seguito di Red in Italy, ho deciso di pubblicarla da sola.

Faccio questo non solo per le ragioni qui sopra spiegate, ma anche perché so quello che sapevo il primo giorno che ho iniziato a scrivere Red in Italy: il mio target è soprattutto straniero. Ho fatto quello che dovevo con l’edizione italiana e continuerò a farlo, ma non mi faccio illusioni. Non voglio scrivere libri che sono anche tradotti in inglese, voglio lavorare esclusivamente con il mercato anglofono, per (cito dal mio terzo libro) “… entrare nel circuito della saggistica in lingua inglese, che è quella che per anni ho letto. Essa è predominante nel mercato editoriale e ha solo radici anglosassoni, per questo io voglio introdurvi una radice italiana, del sud Europa, che dia un’idea diversa di democrazia, benessere, felicità, eccetera.

Voglio raggiungere i lettori spensierati, voglio sembrare innocua per intercettare chi sta in mezzo e un po’ sopra nella scala sociale e parlargli di certi temi in modo diverso, da un punto di vista che viene dall’altra faccia della Luna.

Penso che solo così, toccando chi compra, posso contribuire a cambiare qualcosa.”

Il mio piano è chiaro, peccato che si stia sviluppando con una lentezza esasperante. Ogni persona che incontro è invischiata nelle questioni del suo mondo e l’idea di fare qualcosa insieme a me, che all’inizio la coinvolge, passa presto in secondo piano.

È come se tu dovessi costruire una casa e non potessi fare da solo, così ti rivolgi a chi vive nella tua comunità. Vai dal parroco e quello è felice di aiutarti, ma dice che prima dovete pregare insieme almeno tre mesi, poi ti aiuterà. Alla fine si dimentica quello che ti ha promesso e tu riprendi a cercare. Vai dal fornaio e anche lui dice che ti aiuterà, ma prima devi imparare a fare il pane perché il pane è una cosa importantissima. Quando hai imparato a fare il pane, lui sparisce. Allora vai dal sindaco, che si trova nel pieno della campagna elettorale e sicuramente ti aiuterà, ma tu passi due mesi a lanciare volantini dai balconi e alla fine nessuno si fa vedere al tuo cantiere. Tu ci vai di notte, contempli l’area recintata in cui dovrebbe sorgere la tua casa e piangi, poi ti rianimi e pensi che puoi fare tutto da solo. All’arrivo dell’alba, l’idea malsana perde di vigore: vedi che non sai tirare su un muro a piombo, non capisci niente di cavi elettrici e tubature. E allora riparti a cercare perché il bello dell’uomo è essere un animale sociale, a cui le cose riescono meglio se le fa insieme agli altri.

Del resto parleremo nella seconda parte di questo articolo.

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